Una domenica senza calcio di serie A può essere l’occasione per approfondire argomenti di cui in genere si parla poco o quasi mai. Come, per esempio, di ciò che succede ogni anno in Africa.

Ma dietro la gloriosa facciata di questi rari fuoriclasse del calcio si cela un mondo completamente diverso. Documenti falsificati e dati anagrafici modificati per aumentare l’età di un ragazzo troppo giovane. Famiglie che si indebitano sino al punto di vendere la propria casa per avvicinare i propri figli agli osservatori e magari anticipare i costi di un viaggio in Europa per un provino. Procuratori senza scrupoli che non si fanno problemi a scomparire quando questi aspiranti calciatori non riescono a superare la prova. Giovani abbandonati in un Paese sconosciuto, senza i soldi né la forza di tornare a casa ed ammettere il proprio fallimento, ad una famiglia che ha impiegato tutti i suoi risparmi per quella occasione.
Ragazzi che piuttosto che tornare indietro scelgono di restare in Europa, anche a costo di vendere borse per strada o spacciare droga per racimolare soldi e tentare di risanare il debito dei loro genitori. Clandestini giunti nel continente europeo con finti contratti di lavoro costruiti ad hoc per aggirare le leggi.
Una delle mete più sensibili è la Francia. Ne arrivano migliaia ogni anno. L’associazione Culture Football Solidaire in un’indagine di qualche anno fa ha censito fra le strade di Parigi 800 ragazzi africani diventati solo ex calciatori. Ma molti finiscono anche altrove, Italia, Germania, Spagna, Paesi dell’Est, dove diventano manodopera per la criminalità organizzata.
Spesso dietro queste operazioni ci sono agenti abusivi o loschi intermediari il cui obiettivo è lucrare sulla crescente richiesta dei campionati professionistici europei, ma in più di un’occasione si sono registrati anche trasferimenti di minorenni ad opera di procuratori internazionali di indubbia fama, con giovani venduti dietro un compenso di decine di migliaia di euro.

L’unica forma di contrastare questo schiavismo è sul campo. Così dovrebbe fare anche la Fifa, ma le risorse che dedica alla prevenzione di questo fenomeno sono minime. Con il business del calcio che si diffonde verso nuove frontiere, il problema è destinato a rimanere e a crescere.
FONTE: DE RERUM CALCIORUM
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